Ogni singolo momento della vita è ormai invaso dalla musica. Si, proprio invaso. Letteralmente, invaso.
In ogni luogo in cui si vada, sia esso uno studio, un negozio, un ristorante, un parcheggio, una stazione, ci DEVE essere musica, pena una qualificazione del luogo stesso come noioso, tetro, lugubre.
Soprassedendo sulla qualità di ciò che viene imposto alle nostre povere orecchie, (canzoncine insulsamente felici e tropicali oppure intrise di una melensa emozione falsa come la parola di un politico qualsiasi), di assedio si dovrebbe parlare: non esiste più quiete per l’udito, non esiste più spazio per la riflessione silenziosa, per la concentrazione su un dato della realtà, per l’osservazione attenta del mondo.
Il silenzio è morto e noi lo abbiamo ucciso, direbbe Zarathustra oggi. (Chiedo scusa a Nietzsche).
Questo non è valorizzare la musica. Questo non è rispettarla, ma ridurla a mero riempimento, a soffice ovatta su cui addormentare il proprio raziocinio ed il proprio spirito.
Proprio ieri ero di passaggio sulle rive di un bel lago; alcune persone chiacchieravano ai tavoli del bar, i bambini guardavano i germani cullarsi sulle increspature dell’acqua, le anatre beccavano pietrisco misto a briciole cadute da un ormai digerito panino. A distanza di pochi metri un gruppo di persone stava grigliando qualcosa, pronto per sedersi a tavola a consumare il pasto.
In questo quadretto il suono del lieve vociare umano misto al canto degli uccelli sarebbe stato il perfetto contorno sonoro a quelle pietanze, ma no, non era davvero possibile. Una orrenda quanto immancabile cassa bluetooth rovinava tutto col suo vomitare l’immondizia sonora di turno, ieri incidentalmente trap.
Ecco, questo non è amare la musica. Questo è svilirla, infangarla, ridurla all’ostentazione di un’appartenenza ad una certa umanità, sedicente allegra e gaudente; in questo modo la musica viene usata come se fosse un monile qualsiasi.