Qualcuno salvi l’arte!
Nota bene: in questo post, il cui titolo “Qualcuno salvi l’arte” è volutamente ironico, parlerò del mondo dell’arte, tralasciando in coscienza la situazione, ben più tragica, che stiamo vivendo a livello di società.
Non me ne volere, lettore: arteggiare è la mia vita e quindi vederne oltraggiata e derisa l’essenza è, per me, un colpo al cuore. Inoltre, a ben pensare, l’arte non è che il riflesso della società, quindi, in ultima analisi, parlando di essa si parla della vita, nel senso più ampio del termine.
Cantava Giorgio Gaber (si, sempre lui, lo cito a ritmo forsennato) che:
Non mi piace la troppa informazione
Odio anche i giornali e la televisione
La cultura per le masse è un’idiozia
La fila coi panini davanti ai musei
Mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
Ma non c’è più nessuno che sappia l’italiano
C’è di buono che la scuola
Si aggiorna con urgenza
E con tutti i nuovi quiz
Ci garantisce l’ignoranza.
Con la consueta lucidità di persona fuori dalla mondanità, Gaber aveva colto nel segno lo spirito del tempo – del suo come del nostro – molti anni prima dello scempio a cui noi stiamo assistendo oggi senza aprire bocca.
L’arte è degradata, nelle nostre menti, a ennesima etichetta per arricchire la nostra immagine pubblica/social, per esibire una cultura vasta che, in realtà, ci manca per diversi motivi.
Primo fra tutti l’ideale dell’ostrica verghiano che avvelena da sempre le nostre italiche condotte.
In secondo luogo per via di quell’aberrante e diffuso stigma verso i bambini e ragazzi che amano studiare, i secchioni.
Ma, soprattutto, l’avvento – e il successivo boom – della cosiddetta neotelevisione.
L’era della televisione
La televisione, alla nascita, ebbe il nobile ruolo di veicolare contenuti di spessore agli spettatori e, tra i risultati di maggior rilievo, annoverò quello dell’insegnamento dell’italiano a tantissime persone, fino ad allora escluse dal mondo per via dell’utilizzo esclusivo del dialetto.
Ebbe, quindi, un ruolo fortemente pedagogico.
Non voglio soffermarmi, qui, sui danni che, soprattutto secondo Pasolini, la scomparsa del dialetto ha avuto sulla ricchezza della lingua e sul nostro modo di pensare; se lo facessi, questo articolo diverrebbe troppo lungo. Anche se anche questo, a mi avviso, ricade nel concetto di morte dell’arte. Ne parleremo un’altra volta.
I giornalisti della cosiddetta paleotelevisione – termine inventato da Umberto Eco – non si affidavano, come invece fanno oggi, alla spettacolarizzazione delle notizie, ma miravano a informare seriamente, seppur seguendo le linee guida delle diverse testate.
I programmi erano di livello superiore, per il semplice motivo che non rincorrevano i gusti del pubblico.
Con l’avvento della neotelevisione, le cose cambiarono; le emittenti cominciarono a seguire le voglie del telespettatore, distruggendo la funzione pedagogica del passato a vantaggio dell’interazione e del livellamento qualitativo dei programmi a medio-basso.
Parlando principalmente dell’Italia, la morte dell’arte parrebbe essere ormai su tutti i necrologi: siamo il popolo più ignorante d’Europa, anche se, spesso, ci consideriamo i più intelligenti e i più “smart” dell’universo.
Noi, il popolo
Quindi, un popolo di ignoranti che viene rincorso e sedotto dalla televisione non può che portare all’abbassamento notevole del livello qualitativo dei programmi di cui sopra.
Non solo, in molti si inorgogliscono davanti alla frase ormai classica, quasi un aforisma: “Noi possediamo il 70% del patrimonio artistico mondiale”, omettendo di pensare al fatto che questo non equivalga ad avere la sensibilità di capire e apprezzare quella stessa arte.
Faccio l’esempio della musica: sebbene ci sia una grandissima tradizione musicale proveniente dal territorio oggi conosciuto con il nome di Italia, il lavoro di musicista è, dalla maggioranza dei nostri compatrioti, considerato un non lavoro. Un divertimento.
Quale musicista non si è sentito dire “trovati un lavoro serio”, da uno di quelli che poi si vanta di quel famoso 70%?
Oppure la variante dell’anagrafe:
“Che lavoro fa?”
“Musicista”
“No, di lavoro, intendo”
Oggi noi ci vantiamo di aver visto quella mostra, quello spettacolo. A casa, però, le serie tv spadroneggiano indisturbate tutte le sere; i libri, rigorosamente bestseller scelti per la posizione in classifica nel gradimento da parte del pubblico, sono diventati degli inutili oggetti raccoglipolvere.
La musica è hit estiva.
Tra scimmie che ballano, video marittimi e radio edits, le canzoni si rassomigliano tutte. Non potrebbe essere altrimenti, dovendo gli artisti per contratto produrre – si uso proprio questo orribile termine, produrre – un numero ben preciso di album composto da un altro numero ben preciso di brani, con almeno 1 o 2 singoli da cui ricavare video per il mercato televisivo.
Conclusione
In questo desolante orizzonte, noi, in Italia, pensiamo di essere sufficientemente consapevoli, informati, capaci di individuare i collegamenti tra gli eventi, dotati di memoria storica per affrontare le innumerevoli traversie della vita moderna.
A mio modo di vedere questo è un pensiero che ha per fondamenta la sabbia.
Eppure, i vantaggi dell’accrescimento della coscienza critica sarebbero notevoli.
La cultura è in caduta libera.
I teatri sono chiusi o drasticamente ridimensionati, mentre gli stadi no. La televisione è diventata l’unica fonte di verità, a dispetto persino delle evidenze con cui ci scontriamo nel quotidiano. Molti degli artisti più in vista non sono altro che patetiche figurine, sempre in mostra sui social e collusi con un sistema liberista che tutto annienta.
Qualcuno salvi l’arte!
… eppure c’è speranza, secondo me.
Un nuovo paradigma, ne scrivo qui e ne parlo qui, può sorgere dalle ceneri del vecchio.
Un nuovo modo di vedere il mondo e di vivere la vita. Un cambio di opinioni, che conduca ad azioni diverse, è per me necessario, adesso.
Istruzione, anche parentale, per allenare la capacità critica.
Musica che sperimenti nuove possibilità espressive.
Pittura e scultura in grado di risvegliare emozioni per ora sopite.
Un teatro e un cinema che accendano la passione per la vita e per la conoscenza del diverso.
Una fotografia in grado di aprire porte su universi sconosciuti.
La fine della stigmatizzazione del secchione e, al contempo, la morte del rispetto per l’ignoranza e la violenza.
Quindi…
Abbiamo di fronte un bivio, sta a noi scegliere la strada da prendere: il baratro del transumanesimo o il cielo della libertà. Certo, ci sono anche vie intermedie, ma io punto dritto verso la libertà.
Parliamone nei commenti qui sotto, se ti va.