Il fiume della dimenticanza

A volte vorrei avvicinarmi al fiume della dimenticanza per immergermi nelle sue acque. Quando leggo notizie orrende, in cui percepisco l’essere umano solo più come animale feroce. Senza intelletto, senza morale. Senza pietà.

Vorrei lasciare la riva dei ricordi e nuotare leggero verso il largo, verso l’oblio. Oggi è uno di quei momenti.

Cerco ogni giorno, con tutte le mie forze, di non lasciarmi deprimere dallo stato del mondo, dai pruriti atomici di certi pagliacci tossicodipendenti ai missili che girano il pianeta come se fossero semplici giochi. Cerco di non lasciarmi avvolgere dallo scoramento affrontando le strade, zeppe di persone rinchiuse in sé stesse, isolate dal mondo, lontane persino da quell’aria fresca che ci culla sin dal primo giorno della nostra vita terrena.

Cerco di non deprimermi per le leggi imbecilli che eleganti imbecilli scrivono pensando di avere a che fare loro stessi con imbecilli.

Eppure ci sono certi avvenimenti contro cui nulla può questo titanico sforzo di non soccombere. Oggi, per esempio. Thailandia, strage di bambini in una materna. No.

Non è possibile. Non ci credo.

Come è possibile che ci siamo involuti fino a questo punto?

Involuzione

Abbiamo raggiunto il culmine della nostra civiltà ed ora stiamo inesorabilmente scendendo al limite opposto. Il macigno di Sisifo continua la sua immortale parabola.

Sempre più persone sembrano sul punto di impazzire per trascinare con sé quanti più possono, in una macabra danza a spirale che cade vorticosamente verso il basso. Verso Satana dalle ali gelate.

Come trovare ancora speranza, in mezzo a questa devastazione del pensiero? Della coscienza?

Il fiume della dimenticanza, certo. Questa potrebbe essere un’opzione.

Ma non sarebbe giusto.

Io sono qui per lottare per un mondo che vibri ad una frequenza più alta di quella che mi ha accolto più di 40 anni fa. Io sono qui per costruire ponti sul fiume della dimenticanza, per ricordare ogni aspetto, persino i più atroci, del mondo passato per costruirne uno a misura d’uomo. Senza sete di potere, senza famiglie elitarie che pretendano di sapere quale strada farci seguire, senza politici infami che per un pugno di soldi vendano la mia vita.

Io voglio costruire qualcosa di nuovo, di grande e al contempo minuscolo, qualcosa di potente perché rifuggente il potere.

Voglio che viviamo una vita degna di essere vissuta in ogni luogo del globo, sia esso Aleppo, Baghdad, Kinshasa, Sarajevo, Pechino, Phnom Penh, Ulan Bator.

Io credo che questo sogno sia possibile. Anni fa feci un sogno, in cui mio fratello, allora molto piccolo, mi disse:

Ogni embrione di pensiero porta con sé l’energia potenziale per farlo avverare

Anche questo pensiero, dunque.

E per questo, nonostante il fiume della dimenticanza sia lì, ad un passo, pronto ad accoglier me come chiunque altro, io resto sulla riva, cercando le pietre con le quali costruire un ponte.

Perché, in definitiva, questo siamo noi umani: ponti tra il cielo e la terra.

Anche se lo abbiamo dimenticato.

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