Sono stato in Francia, nell’ultimo week end, in un piccolo paese nel Sud Ardèche che si chiama Bessas. Basse case in pietra, ulivi, viti. Campi riarsi da questa siccità che ormai ci assilla da mesi. L’obiettivo del viaggio era la grotta Chauvet 2, vicino Vallon Pont d’Arc; in verità quella è la riproduzione dell’originale caverna, nata per preservarne lo stato. Bellissima.
Pitture rupestri stupefacenti per realismo, quantità di immagini e qualità pittorica. Bufali e cavalli, leoni e cervi. Elefanti. Un gufo. Mani umane.
La grotta, tra l’altro, è enorme; è molto alta, con ampi spazi liberi da stalagmiti nei quali gli scopritori, negli anni 90, trovarono resti animali in quantità. Pensare che, lì dentro, lontani dal sole, al freddo, ci vivessero degli esseri umani mi commuove fino alle lacrime.
Attorno alla luce di piccoli fuochi dipingevano col carbone di legna le pareti, oppure le raschiavano con strumenti di fortuna. Quanto dovevano esser forti!
Forti e capaci di ricordo fotografico, precisissimo; abili a fabbricare strumenti e abiti con le pelli animali. Capaci a cacciare e a comunicare. Si, a comunicare.
Al loro cospetto, quanto siamo primitivi, invece, noi?
Noi che non sappiamo più fabbricare nulla da zero, noi che, per una notte all’addiaccio, abbiamo dolori per settimane. Noi incapaci di comunicare realmente e, quindi, di raccontare storie. Le storie che da sempre ci aiutano ad affrontare la vita e i suoi rovesci: i ricordi, certo, e anche i miti, le cosmogonie.
Sono passati secoli, abbiamo costruito un mondo di cemento e ferro ma, nonostante tutte queste apparenze, ci siamo involuti. Possiamo davvero considerarci, ancora, esseri umani nel senso più ampio che questo appellativo ha?
Ammirare un bisonte dipinto con una perizia degna di un artista del ‘500, con sfumature curate, volume pittorico, la resa della sua prestanza fisica, ha smosso in me qualcosa, nel profondo. Io non sarei in grado di fare, a memoria, un disegno vagamente somigliante.
Finita la visita, sono uscito al sole, caldo e splendente; ho vissuto questo momento come una perdita, perché le sensazioni vissute dentro la grotta sono state potenti, quelle pareti, seppur riprodotte, mi hanno parlato delle potenzialità umane andate perdute con lo scorrere del tempo. Quelle pareti mi hanno detto che qualcosa è andato storto.
Mi sono sentito molto più umano di fronte alle vestigia dei cosiddetti primitivi che non in mezzo alla nostra amata tecnologia che ci rincoglionisce ogni giorno di più.
Penso che noi, persone di mezza età, siamo un ponte tra i resti ancora vivi dell’umanità, anche se già fiaccati dai deleteri anni 80 del secolo scorso, e la tecno-gioventù di oggi; abbiamo la responsabilità di ritornare a raccontare le storie, le uniche in grado di non farci smarrire la strada verso l’abominevole transumanesimo che questa tecnocrazia incipiente tenta di imporci con la violenza.
So di dire una banalità, ma, oggi più che mai, secondo me l’imperativo è:
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